Crisi dei chip: quali sono le cause
L’attuale carenza di microchip è stata determinata da un congiunto di fattori.
Aumento della domanda globale di microchip: alla fine del 2020 la pandemia di Covid-19 ha provocato un aumento esponenziale della domanda di microchip; infatti, a causa del lungo lockdown imprese e cittadini privati hanno investito nelle tecnologie digitali acquistando un gran numero di dispositivi elettronici.
Riduzione dell’offerta di chip: le imprese produttrici di microchip non sono state in grado di soddisfare l’incremento della domanda, in quanto la fabbricazione di chip è un processo estremamente complesso e poco scalabile, un aspetto che ha contribuito ad aggravare la crisi dei chip.
Concentrazione della produzione: un’altra causa che ha portato alla carenza i microchip è legata alla concentrazione della produzione, localizzata soprattutto in Asia e in particolare a Taiwan. L’isola infatti detiene il 60% della produzione mondiale di microchip e la Corea del Sud il 19% circa, un mercato in mano a colossi come TSMC e Samsung.
Aumento dei prezzi delle materie prime: per la costruzione dei chip, semiconduttori come il germanio e il silicio rappresentano gli elementi principali del microprocessore, tuttavia l’incremento del prezzo delle materie prime tra il 2020 e il 2021 ha fatto salire i costi dei microchip e aumentato le difficoltà delle case automobilistiche alla ricerca di prezzi bassi.
I produttori di microchip preferiscono altri clienti: la strategia adottata da molte case automobilistiche ha favorito altre imprese, ritenute clienti migliori a cui vendere microchip da parte dei produttori. Si tratta soprattutto delle aziende che si occupano di elettronica di consumo come Apple e Microsoft, le quali tendono a stringere rapporti di lungo termine con lo tesso fornitore e acquistano microchip di alta qualità.
Mancanza di scorte: senza scorte sufficienti per garantire la produzione per diversi mesi, il rallentamento delle consegne ha provocato rapidamente la crisi in molti casi portando alla sospensione della fabbricazione dei prodotti.
In Europa si producono pochi chip e l’Asia favorisce i propri mercati
Per chi non lo sapesse, i chip non sono tutti uguali, hanno caratteristiche diverse a seconda dell’utilizzo finale, e questa differente richiesta in un periodo di scarsità di materie prime non fa che rallentare l’approvvigionamento. I produttori devono soddisfare le differenti specifiche richieste dei clienti: il settore dell’elettronica di consumo chiede componenti il più piccole possibili e dalla massima efficienza, mentre quello automotive componenti sempre piccole ma longeve e dalla capacità di operare in condizioni estreme.
In Europa, dove si producono più chip per auto che per l’elettronica di consumo, ci sono pochissime fabbriche in grado di miniaturizzare le componenti (si parla di “miniaturizzazione” quando i singoli chip hanno dimensioni inferiori ai 10 nanometri. Un nanometro equivale a un miliardesimo di metro: minore è la distanza tra i transistor di un’unità di elaborazione centrale e più migliora l’efficienza), per cui la fornitura deve necessariamente provenire dall’Asia che, ovviamente, dà la precedenza ai propri mercati. Ad alimentare la crisi attuale poi si aggiungono altri fattori, come quello dell’aumento dei costi di trasporto via mare. E quindi, perché non produrre chip miniaturizzati anche in Europa? STM ha deciso ormai da qualche anno di abbandonare l’obiettivo a causa dei costi proibitivi: secondo Kearney, società di consulenza internazionale, servirebbero fino 20 miliardi di dollari per una singola fabbrica in grado di produrre 35.000 wafer (circa 3.500.000 di chip) al mese con chip di una grandezza di 5 nanometri. Meno di una dozzina di impianti al mondo sono in grado di farlo e sono tutti negli Stati Uniti, in Israele, in Corea del Sud e a Taiwan. Per mettere una toppa, la Commissione Europea è intervenuta a riguardo lo scorso settembre proponendo un “Chips Act“ per promuovere la ricerca e la produzione locale con l’obiettivo di riportare la quota dell’Unione Europea al 20%. Ma c’è un ostacolo: le direttive che regolarizzano la concorrenza all’interno dell’UE vietano di servirsi degli aiuti di Stato per posticipare i costi di produzione, ammettendo solamente incentivi alla ricerca. Per ovviare a questo, una nuova direttiva dovrebbe essere proposta formalmente nel 2022, ma qualsiasi modifica delle regole deve passare prima dall’approvazione di tutti i 27 paesi dell’UE.