42 anni dopo “La strage di Ustica”
27 giugno 1980
DC9 ITAVIA volo numero IH870, decollato alle 20.08 da Bologna e diretto a Palermo.
Guarda cos’è?”. Ore 20.59 pochi istanti dopo, il Dc9 precipita in mare, al largo dell’isola di Ustica. Muoiono tutti, equipaggio e i passeggeri, 81 persone. I resti del velivolo saranno recuperati solo otto anni dopo, oggi sono esposti in un museo a Bologna. Tre settimane più tardi, sulla Sila, altopiano dell’appennino calabro, vengono ritrovati i resti di un aereo militare libico, un Mig 23.
Il pomeriggio seguente alla redazione romana del Corriere della Sera arriva una telefonata da qualcuno che si accredita come componente dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), una delle principali organizzazioni neofasciste attive ai tempi in Italia. Dice che sull’aereo c’era un loro camerata, portava con sé un’ordigno, è esploso per sbaglio. Tutto falso, come sarà dimostrato. È il primo depistaggio.
In parallelo iniziano le indagini della magistratura e quelle di una commissione d’inchiesta del ministero dei Trasporti. Nella relazione di quest’ultima, il 16 marzo 1982, conclude che non è possibile stabilire se sia stato un missile o una bomba. Esclude al contempo l’ipotesi del cedimento strutturale, troppo tardi per l’incolpevole compagnia Itavia, che pochi mesi dopo l’incidente era fallita travolta dallo scandalo.
Il 6 maggio 1988 arriva una telefonata anonima, in diretta, alla trasmissione di Rai3 Telefono giallo, condotta da Corrado Augias. Poco prima in trasmissione si era parlato di un buco di alcuni minuti nelle tracce della stazione radar di Marsala. L’uomo al telefono si qualifica come “aviere in servizio a Marsala la sera dell’evento della sciagura del DC-9” e di quei tracciati dice: “Noi li abbiamo visti perfettamente. Soltanto che il giorno dopo, il maresciallo responsabile del servizio ci disse praticamente di farci gli affari nostri e di non avere più seguito in quella vicenda. La verità è questa: ci fu ordinato di starci zitti”
Intanto il recupero del relitto porta alla luce evidenze tali da rendere impossibile che sia trattato di una bomba: molti oblo sono integri, con un’esplosione dall’interno sarebbero dovuti andare tutti in frantumi. Il wc e la stiva, i due luoghi dove secondo le tesi avanzate dall’Aeronautica Militare Italiana e da diversi uomini di Stato sarebbe stato piazzato l’ordigno, non presentano segni compatibili con un’esplosione dall’interno. A queste evidenze si aggiunge il fatto che l’aereo decollò con quasi due ore di ritardo, e per un ipotetico attentatore sarebbe stato quantomeno complicato tenere conto di ciò programmando un timer.
Ciò nonostante la tesi della bomba sopravvive a lungo: nel 1994 a sostenerla è un collegio internazionale di esperti incaricato dal giudice istruttore Rosario Priore. Gli sviluppi dell’inchiesta romana andranno però in direzione di uno scenario diverso, evidenziando nel 1997 la presenza di aerei militari quella sera nei cieli sopra Ustica.
A settembre 2000 vanno a processo quattro generali dell’Aeronautica accusati di ”concorso in alto tradimento mediante attentato continuato contro gli organi costituzionali” in relazione ai depistaggi delle indagini: sette anni e tre gradi di giudizio dopo i generali saranno tutti assolti e le altre posizioni prescritte.
Nel 2008 i familiari delle vittime citano in sede civile i ministeri della Difesa e dei Trasporti per le “omissioni e negligenze” che avrebbero ostacolato la ricostruzione giudiziaria dei fatti.
Lo stesso anno l’ex capo dello Stato Francesco Cossiga, che all’epoca dei fatti era presidente del Consiglio dei ministri, in diverse dichiarazioni a organi di stampa afferma che “Giuliano Amato, allora sottosegretario, mi disse che erano stati 2008 i francesi ad abbattere l’aereo di Ustica”: i due verranno sentiti dalla Procura di Roma, che deciderà di riaprire l’inchiesta. Non è chiaro cosa abbia spinto Cossiga a cambiare versione, dopo anni passati a parlare di “cedimento strutturale” e “normale incidente aereo”.
Il missile francese
Nessuna bomba o collisione, ma un missile partito da un caccia francese. Secondo le registrazioni radar dall’aeroporto di Grosseto, raccolte dalla commissione di inchiesta, sarebbero stati individuati 4 caccia che volavano non lontano dalla zona del disastro. Due di questi sarebbero stati di origine libica e avrebbero trasportato al loro interno Muhammar Gheddafi, mentre gli altri due sarebbero stati francesi con l’obiettivo di ucciderlo. Il missile che avrebbe dovuto colpire Gheddafi ha invece distrutto l’aereo Itavia. Tale versione è stata confermata dall’allora Presidente del Consiglio Francesco Cossiga.
Cossiga ha aggiunto poi diversi elementi a sostegno di questa ipotesi, puntando il dito contro le modalità brutali dei servizi segreti francesi, che avrebbero quindi favorito tutti i depistaggi. Nonostante queste dichiarazioni le indagini giudiziarie si sono concluse con un sostanziale nulla di fatto.
L’inchiesta che puntava sull’ipotesi del missile si è conclusa con un “non luogo a procedere” perché non si conoscono gli autori della strage. Mentre i procedimenti successivi che avevano l’obiettivo di smascherare i depistaggi, fatti principalmente dai militari, hanno portato al riconoscimento di colpevolezza di alto tradimento per due generali, caduto però in prescrizione.
Il 12 settembre 2011 termina il processo civile contro i ministeri della Difesa e dei Trasporti, con la condanna, confermata negli anni successivi dalla Cassazione, a risarcire oltre 100 milioni ai parenti delle vittime. Nelle motivazioni i giudici accreditano con fermezza la ricostruzione per cui quella sera sopra il Tirreno ci fosse un’azione di guerra, che coinvolgeva tre diversi veicoli militari: ”Tutti gli elementi considerati – scrive la giudice Paola Proto Pisani – consentono di ritenere provato che l’incidente si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il Dc9”.
Il 20 aprile 2014 l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncia l’avvio della desecretazione dei documenti in possesso dello Stato sulle stragi, Ustica compresa.
Il 20 dicembre 2017 il Corriere della Sera e la trasmissione di La7 Atlantide riportano la testimonianza di Brian Sandlin, che all’epoca dei fatti era marinaio sulla portaerai americana Saratoga: quella sera, afferma, assistette dalla plancia della nave ancorata vicino al Golfo di Napoli, al rientro di due caccia Phantom disarmati, scarichi. Sarebbero serviti ad abbattere altrettanti Mig libici (come quello ritrovato in rottami sulla Sila) in volo proprio lungo la traiettoria aerea del Dc-9. “Quella sera – racconta l’ex marinaio – ci hanno detto che avevamo abbattuto due Mig libici. Era quella la ragione per cui siamo salpati: mettere alla prova la Libia”
Le indagini aperte nel 2008 non sono mai state chiuse. Un anno fa, e poi nuovamente venerdì scorso, Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica, ha fatto appello alla magistratura perché pervenga in fretta alle conclusioni, che permetterebbero di rendere pubbliche le risposte alle rogatorie internazionali avanzate nei confronti di Stati Uniti e Francia, stati che sarebbero informati sui movimenti degli aerei militari quella sera sopra Ustica.
L’inchiesta che puntava sull’ipotesi del missile si è conclusa con un “non luogo a procedere” perché non si conoscono gli autori della strage. Mentre i procedimenti successivi che avevano l’obiettivo di smascherare i depistaggi, fatti principalmente dai militari, hanno portato al riconoscimento di colpevolezza di alto tradimento per due generali, caduto però in prescrizione.
Così l’indagine del giudice istruttore Rosario Priore si è conclusa con un’amara considerazione: “L’inchiesta è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell’ambito dell’aeronautica militare italiana sia della NATO, le quali hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto”. Alla luce di questi elementi deve essere stato piuttosto deludente per i familiari delle vittime ascoltare l’ultimo discorso del Presidente della Repubblica in ricordo della strage, al cui interno non si ravvisa nessuna richiesta di giustizia, ma solo un vago richiamo alla memoria dei fatti.
Fonte: web